Proprio alcuni giorni fa è ricorso il 10° anniversario dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle. Tuttavia nel corso di questi 10 anni la politica estera degli Stati Uniti non sembra essere mutata di molto rispetto agli anni ’60, quando le teorie della modernizzazione di stampo rostowiano venivano orgogliosamente applicate alla politca estera statunitese. Oggi la USAID ovvero U.S. Agency for International Development sembra continuare ad essere la longa manus de cosiddettol ‘imperialismo civilizzatore’ di qualche decennio fa.
Il lupo perde il pelo…
La USAID nasce nel 1961 durante l’amministrazione Kennedy, sulla scia delle teorie rostowiane per la promozione dello sviluppo nei Paesi del Terzo Mondo. Emblema di tali teorie fu l’Alleanza per il Progresso. In parte ispirata dal successo del precedente Piano Marshall, l’Alleanza per il Progresso aveva l’obiettivo di promuovere una ‘sana’ modernizzazione nei Paesi dell’America Latina e rispondere, inoltre, all’esigenza di contrastare la diffusione dei regimi comunisti in un’area strategicamente importante per gli Usa. La rivoluzione castrista del 1959 e la conseguente caduta del regime di Fulgencio Batista ponevano una seria minaccia proprio alle porte degli Stati Uniti. E’ interessante notare come in quegli anni il regime di Castro sia stato il bersaglio di numerose iniziative di intelligence statunitenese volte al rovesciamento del regime. La ben nota crisi dei missili cubani del 1962 fu appunto la risultante di questo tipo di politica.
…ma non il vizio
Oggi il programma della USAID a Cuba ha come obiettivi primari quello della promozione della democrazia e dei diritti umani, il rafforzamento della società civile, l’introduzione di tecnologie informatiche e la formazione di giornalisti ‘indipendenti’ in grado di scrivere articoli sulle difficili realtà dell’isola. Ma il 2011 è stato un anno particolarmente critico per gli Stati Uniti. La crisi economica, infatti, ha comportato diversi tagli alla spesa pubblica e in seguito ad una minore disponibilità di mezzi gli USA stanno cercando di ripensare e riadattare la propria leadership.
Le polemiche in effetti non sono mancate riguardo la richiesta di Obama di altri 20 milioni per finanziare la USAID e i suoi programmi anti-Cuba. E’ stato proprio il senatore John Carry, a capo della Commissione per le Relazioni estere del Senato a dichiarare, una volta per tutte, come tali fondi andassero a finanziare azioni contro il governo cubano, nonché programmi di intelligence. Parte della critica si è incentrata anche sull’uso di codici segreti e pseudonimi, sottolineando inoltre come non ci sia alcuna evidenza sul reale beneficio che tali iniziative comportino. La decisione di Kerry di sospendere questi fondi ha provocato dure critiche da parte senatore Bob Mènendez, noto per i suoi legami con la mafia cubano-americana. La decisione di Carry evidenzia, infatti, una tendenza della politica nordamericana a evitare i rischi di un overcommitment. La sua pretesa in quanto membro del Congresso, di ricercare una sorta di pragmatismo in questo tipo di politiche sembra voler indirizzare la politica statunitense verso una nuova attitudine, svincolata da vecchie logiche strettamente legate al concetto bipolare. L’arresto del contractor Allan P. Gross nel 2009 per aver introdotto illegalmente materiale e mezzi di comunicazione richiama subito alla mente gli eventi della Baia dei Porci. Quando gli Stati Uniti interferirono, allora come oggi, negli affari interni di un altro stato.
Residui di Guerra Fredda
Nel 1990 Alexeij Arbatov (consigliere di Gorbaciov) dichiarò agli Stati Uniti: “Vi infliggeremo il colpo più tremendo; vi priveremo del nemico”. Alla luce dei fatti, oggi, questa affermazione risulta particolarmente significativa. In seguito alla fine della Guerra Fredda e alla nascita di un nuovo sistema unipolare, gli Stati Uniti sono andati costantemente alla ricerca di una Grand Strategy e di un nemico attraverso i quali autolegittimare la propria esistenza e i propri valori. Basti pensare alla USAID o più semplicemente alla politica di Bush focalizzata sugli Stati canaglia. Perciò, nonostante la Guerra Fredda sia ufficialmente terminata con il crollo dell’Unione Sovietica, ufficiosamente essa continua da parte degli Stati Uniti tuttora con le stesse logiche di alcuni decenni fa, ma nei confronti di Cuba. L’unica differenza rispetto al passato risulta essere l’indiscusso squilibrio di potenza tra le parti.
Inoltre è importante evidenziare come con l’acuirsi della crisi economica e delle difficoltà interne, i progetti della USAID su Cuba siano il simbolo di una sempre maggiore incompatibilità tra la politica estera nordamericana e il consenso delle parti politiche interne. Infatti, stando alle teorie di Barry Posen, il gap di potenza tra gli Stati Uniti e il resto del mondo non ha precedenti nella storia, ma tuttavia è necessario sottolineare come la leadership nordamericana presenti comunque tutte le contraddizioni e le asimmetrie di un’egemonia affermatasi attraverso l’interdipendenza. La spendibilità quindi dell’hard power risulta notevolmente ridotta rispetto al passato e quella del soft power richiede necessariamente una rivisitazione.
L’imperialismo civilizzatore intriso di giustificazioni legate alla morale e una visione messianica del ruolo del proprio Paese all’interno del sistema internazionale continuano ad essere i leitmotiv di un attivismo globale e di una volontà di potenza, ai quali gli USA dovranno rinunciare non senza difficoltà.
Mark Twain affermava : “History doesn’t repeat itself but it does rhyme”. Non resta, perciò, che aspettare che la storia ci presenti le sue “rime” attraverso le quali sarà possibile tirare le somme di questo unipolarismo non privo di contraddizioni.
*Fabrizia Di Lorenzo laureanda in Scienze internazionali e diplomatiche – Università di Bologna