La Siria nel mirino della NATO: una testimonianza di Gilles Munnier (diario di viaggio Damasco-Hama)
Damasco, 20-21 Agosto 2011
La Siria ha deciso finalmente di esprimersi pubblicamente in merito ai gravi fatti di sangue che hanno sconvolto il paese, a partire dalle prime manifestazioni antigovernative di Deraa (vicino al confine giordano). Pertanto, ho accettato l’invito di un’associazione formata da un gruppo di imprenditori (fra i quali Anas al-Jazaïri, pronipote dell’Emiro Abd el-Kàder) che si propone di appurare in loco l’evolversi della situazione. Ha preso parte al viaggio un centinaio di persone, giornalisti e varie personalità, fra le quali un ambasciatore degli Stati Uniti in pensione e un ex ministro della giustizia turco. Diciamo subìto che costoro, che conoscono Damasco, non hanno riscontrato nella città i cambiamenti e le tensioni riportate ordinariamente dai media. Gli schieramenti di forze militari e di polizia di cui riferisce Al-Jazeera non esistono, se non nei comunicati degli esponenti d’opposizione residenti all’estero.
Sarkozy, uno dei peggiori nemici della Siria
I disordini che stanno sconvolgendo la Siria sono sicuramente oggetto di animate discussioni presso la popolazione. I siriani vogliono sapere cosa pensano i francesi al riguardo e perché Nicolas Sarkozy , che aveva invitato non molto tempo fa Assad a Parigi, è diventato uno dei peggiori nemici della Siria. Il ritardo accumulato dal presidente Assad – nel portare avanti le riforme per il paese – è imputato alle “vecchie barbe” del partito Baath e perciò la cosa non intacca troppo la fiducia verso lo stesso presidente. Tutto si gioca sull’applicazione effettiva delle leggi di democratizzazione annunciate; tuttavia, saranno queste sufficienti a neutralizzare le forze eversive che chiedono il rovescio del regime? Quanto ancora andranno avanti gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, la Francia, Israele, la Turchia ed il Qatar con le loro trame destabilizzatrici? La Russia – verso la quale alcuni striscioni a Damasco esprimevano gratitudine – potrebbe avere un ruolo tutt’altro che secondario per sabotare l’arma dell’embargo occidentale da cui la Siria è minacciata.
Hama, 22 Agosto – Partenza in pullman per Hama, situata a circa 200 km da Damasco. Città conservatrice e recalcitrante verso il potere centrale come il Nahar al-Assi (nome arabo dell’Oronte, il “fiume ribelle” che attraversa la città) lo è nei confronti della natura [l’Oronte è l`unico fiume che scorre in senso opposto rispetto agli altri della regione, ndt]. Sin dalle prime manifestazioni di Deraa, è tornato alla memoria il ricordo della sollevazione di Hama del Febbraio 1982, repressa da Rifaat al-Assad, fratello dell’allora presidente Hafez al-Assad; secondo le stime effettuate, la repressione avrebbe fatto fra i 10.000 e i 20.000 morti. Per taluni osservatori della “Primavera araba”, la questione centrale non era tanto sapere come si sarebbe evoluta la situazione a Deraa, bensì ciò che sarebbe potuto accadere se Hama si fosse nuovamente ribellata.
“Che il regime lasci il potere, che l’ONU intervenga e che giunga la NATO…”
Da allora Hama ha avuto il suo numero di rivolte, saccheggi e morti. Il governatore della città ha tentato di rispondere alla crisi con la negoziazione. Non essendo riuscito ad ottenere risultati concreti, è stato sostituito e il suo successore ha ripreso il controllo della città manu militari. Questi ci riceve presso la prefettura e ci mostra un video girato per le strade e gli edifici della città al termine delle rivolta: una visione apocalittica.
La tappa successiva del nostro programma prevede la visita del palazzo di Giustizia incendiato e di un commissariato attaccato da ‘terroristi’. L’autobus ci attende ma giunti fuori restiamo sorpresi nel trovarci davanti degli oppositori: una quarantina di giovani, non sappiamo da chi radunati, urlano slogan anti-regime. All’incrocio, i militari di guardia, appostati dietro sacchi di sabbia o posizionati sui tetti, restano immobili; un poliziotto in borghese tenta di fermare un manifestante intervistato da una rete televisiva, i compagni dell’intervistato giungono in suo aiuto ma l’agente fugge, inseguito da pochi irriducibili. Vicino a me una giornalista della televisione indiana domanda ad una ragazza in hijab, di circa 17 anni, quali siano le sue rivendicazioni. La ragazza recita in un inglese approssimativo: “Che il regime lasci il potere, che l’ONU intervenga e che giunga la NATO!”. E’ un peccato che la giornalista non abbia chiesto alla ragazza se non reputasse rischioso parlare a viso scoperto ed anche che cosa ritenesse fosse la NATO. Forse un’organizzazione umanitaria…
Teste piantate su lame
Le mura del commissariato attaccate dagli oppositori sono annerite a causa di un incendio, provocato da una bombola di gas trasformata in esplosivo. La facciata è crivellata di colpi d’arma da fuoco di grosso calibro e veicoli carbonizzati ostruiscono il piazzale. Secondo testimonianze di giovani del quartiere, i diciassette poliziotti intrappolati dalle fiamme si sono arresi e degli assalitori “venuti da fuori” li hanno sgozzati e decapitati. Le loro teste sono state piantate su lame e i loro corpi gettati nell’Oronte. La scena orribile, filmata da alcuni complici, è stata inserita su YouTube, certamente per minacciare i funzionari dei servizi di sicurezza che faranno la stessa fine, se non si dimetteranno.
Sulla strada del ritorno, il direttore de L’Index, quotidiano di Constantine [citta algerina, ndt] riceve una chiamata dall’Algeria: un suo collega ha sentito su Al-Jazeera che degli oppositori siriani avevano appena sparato sugli autobus che trasportavano i giornalisti in procinto di lasciare Hama. La notizia è confortante: il canale televisivo arabo non è ancora arrivato a un totale travisamento dei fatti dacché è diventato la voce della Nato.
Da dove arrivano le armi?
Damasco, 20:30 – Fra qualche istante, il presidente Bashar al-Assad riceverà i giornalisti di un canale televisivo satellitare siriano, per rispondere alle domande che tutti si pongono: chi sono gli estremisti infiltrati alle manifestazioni? Chi li ha addestrati? Vero è che possedere un kalashnikov non è così insolito per le famiglie siriane, ma le armi e gli esplosivi utilizzati – o scoperti nei nascondigli – sono nuovi, in gran numero e di qualità. I sospetti conducono naturalmente verso il confine libanese, storicamente una frontiera porosa, ma in tal caso possiamo fare solo delle ipotesi: le armi potrebbero venire dall’Arabia Saudita tramite canali cosiddetti islamisti, controllati finanziariamente da Hariri; oppure da Israele mediante estremisti libanesi cristiani legati al Mossad; o ancora far parte di partite di armi consegnate dalla NATO ai servizi segreti turchi. Le tre possibilità non si escludono a vicenda e potrebbero tutte aver concorso, in diversa misura, all’afflusso di armi verso la Siria. Ciò che è certo, è che il regime baathista si trova a fronteggiare organizzazioni pesantemente armate e che nulla hanno a che fare con le legittime rivendicazioni del popolo siriano.
Damasco, 23 Agosto – Prima del nostro rientro nei rispettivi paesi, ci viene distribuito un testo tradotto di ampi stralci dell’intervista fatta ad Assad e diffusa in serata dalla televisione siriana. Per il presidente, la Siria è vittima di un complotto il cui obiettivo sarebbe il crollo del paese. La situazione sul fronte della sicurezza va migliorando e il presidente ritiene che la destabilizzazione in corso non costituisca un problema insormontabile. Gli attacchi alle postazioni di polizia, gli assassinii, gli agguati ad autobus civili o militari non lo preoccupano oltre misura. “Siamo in grado di affrontare questi problemi in maniera adeguata”. La priorità per lui, quindi, è di migliorare la sicurezza, posto che la soluzione definitiva dei problemi non concerne l’ordine pubblico, ma è anzitutto di tipo politico.
Bashar al-Assad menziona la riunione del comitato centrale del partito Baath del 17 Agosto scorso, nel corso della quale si è discussa l’attuazione dei meccanismi che possano permettere al partito di preservare la sua posizione per i prossimi decenni . Si è anche dibattuta la questione dell’articolo 8 della Costituzione siriana, che riconosce il Baath come partito dirigente; la sua abrogazione necessiterà di un’ampia revisione costituzionale, essendo diversi altri articoli legati a questo.
Elezioni legislative per il prossimo Febbraio?
Il presidente siriano enumera le riforme promulgate (cessazione dello stato d’emergenza, leggi per la costituzione di partiti politici, elezioni pluraliste) e annuncia quelle che seguiranno: legge sull’informazione, creazione di una commissione di revisione costituzionale (la quale avrà dai tre ai sei mesi di tempo per elaborare il programma di riforme), elezioni dell’assemblea popolare nel Febbraio prossimo, di modo da permettere ai partiti di nuova costituzione di fare campagna elettorale. Assad è preoccupato della marginalizzazione delle nuove generazioni; si tratta per lui di un fenomeno molto pericoloso e ritiene invece che i giovani debbano invece giocare un ruolo crescente nella società. Riguardo alla legge sull’informazione, Bashar al-Assad critica le carenze della stampa ufficiale; si dichiara favorevole alla libertà d’espressione ma contrario alla diffusione della stampa in stile tabloid.
Rispondendo ad una domanda sul decreto che concede la nazionalità siriana ai curdi – i quali ne erano ancora privi – Bashar al-Assad ha fatto presente che il testo normativo era pronto già dal 2004, ma l’entrata in vigore era stata rimandata a causa dei disordini allora insorti nelle regioni di al-Assakeh e Qamishli. I curdi – ricorda ancora il presidente – sono una delle componenti della Siria: hanno lottato contro l’occupante francese impegnandosi ai più alti livelli.
Bashar al-Assad è ben cosciente che il primo ciclo di riforme non soddisferà gli occidentali. < "Insufficienti" diranno subito in coro gli oppositori radicali, armati o meno, che li sostengono.
Il popolo siriano non riceve ordini dall’estero
Ogni qualvolta l’Occidente parla di “diritti umani”, lo fa per ottenere obiettivi che nulla hanno a che vedere con i primi. I paesi occidentali, afferma Bashar al-Assad, “sono responsabili di massacri perpetrati attualmente dall’Afghanistan all’Iraq, passando per la Libia… milioni di martiri, vittime, mutilati, feriti, vedove, orfani, senza parlare del loro sostegno a Israele, che perpetra i suoi crimini contro palestinesi ed arabi”. Il loro scopo, afferma, non è quello di permettere alla Siria di svilupparsi, ma di condurla a rinunciare ai suoi diritti. Il presidente non darà le dimissioni, come chiedono Obama e Sarkozy: lui non è un presidente ‘fabbricato’ negli Stati Uniti e il popolo siriano non riceve ordini dall’estero.
Bashar al-Assad definisce la relazione della Siria con i paesi occidentali come “perennemente conflittuale”. “In tempi sereni – afferma – essi mantengono un atteggiamento cordiale per ingannarci, adesso ci minacciano; cambia solo la forma. (…) Non bisogna temere né il Consiglio di sicurezza, né la guerra psicologica” e continua affermando che dopo la caduta di Baghdad, un funzionario americano era giunto presso di lui per dargli direttive su cosa dovesse fare e – avendo Assad rifiutato di assecondare tali pretese – gli Stati Uniti inviarono al presidente siriano una cartina militare che segnalava gli obiettivi che sarebbero stati bombardati in territorio siriano.
“Noi non ci piegheremo”
Nel 2005, dopo l’assassinio di Rafiq Hariri gli occidentali usarono il Consiglio di sicurezza per attentare alla sovranità della Siria, con il pretesto della necessità un’inchiesta. I paesi occidentali erano allora nel loro apogeo ma, dice il presidente al riguardo: “noi non ci siamo mai piegati. Oggi [i paesi occidentali] sono più deboli di sei anni fa, attraversati da crisi militari, economiche, politiche e sociali. Perché piegarci?… Noi non ci piegheremo!”.
Assad afferma che di fronte all’embargo esistono alternative su quasi tutti i settori a rischio, grazie al sostegno di paesi vicini o amici. La Siria ha esperienza di misure restrittive e dal 2005 si è rivolta ai paesi dell’Est. “L’essenziale è non farsi prendere dal panico (…). La Siria è autosufficiente sul piano alimentare e in passato ha superato molte crisi analoghe , uscendone rafforzata”.
Parigi, 25 Agosto – Sostenuti dagli elicotteri NATO, i combattenti del Consiglio nazionale di transizione libico (CNT) sono entrati a Tripoli preceduti da forze speciali francesi, dai jihadisti del Gruppo islamico dei combattenti libici e da al-Qaeda. Secondo Natalie Nougayrède, della testata Le Monde, Nicolas Sarkozy descrive la sua campagna di Libia come il punto di svolta verso una nuova diplomazia. Il ‘regime siriano’ è nel suo mirino ed è una questione sulla quale, ha dichiarato, lo stesso affaire libico “avrà delle conseguenze” anche se “non vi è intenzione di fare interventi militari in ogni occasione (…). Bisogna agire nel rispetto della legalità internazionale, che solo l’ONU può garantire”. Detto in altre parole: le sanzioni e le operazioni clandestine dei nemici della Siria sono appena cominciate.
* Gilles Munier, segretario generale dell’associazione Amitiés Franco-Irakiennes è autore di diversi libri sul Vicino e medio Oriente.
Traduzione a cura di Giacomo Guarini