Per la prima volta la Polonia ha assunto, a partire da luglio e per i prossimi sei mesi, la guida dell’Unione Europea: un momento storico che rappresenta l’opportunità per Varsavia di costruire le basi per un ruolo più influente a livello internazionale e per Bruxelles di trarre nuova linfa vitale da un Paese giovane, stabile e in rapido sviluppo. Il tempo a disposizione e l’effettivo peso della Polonia in ambito comunitario rischiano però di rendere questa sfida più difficile del previsto.
Coesione e crescita
L’ambizione della Presidenza polacca, così come esposto dal premier Tusk nelle scorse settimane, è quella di riuscire a ristabilire la fiducia nell’Unione Europea e nella necessità della sua esistenza, rafforzando il senso di appartenenza degli Stati membri e riscoprendo i valori fondanti l’integrazione. Il programma elaborato da Varsavia per il semestre in corso si apre, infatti, con la previsione di azioni volte a consolidare la coesione tra i Paesi membri, tramite l’elaborazione di strategie concordate in nome di un interesse comune europeo. In questo senso, è centrale per Varsavia diffondere una concezione dell’integrazione europea intesa come “fonte di crescita” e perseguire tale fine sia a livello di crescita economica, sia nel senso di un approfondimento della cooperazione tra gli Stati. La mancanza di una volontà politica condivisa, che operi in direzione di una crescita così duplicemente intesa, equivale, infatti, a un fattore di debolezza, capace di mettere a rischio non solo l’immagine dell’Unione Europea come entità appunto “unita”, ma anche e soprattutto il suo stesso futuro. La determinazione, il realismo e le idee chiare che la Polonia dimostra di avere su questi punti, unite all’entusiasmo europeista manifestato da Varsavia, fanno ben sperare in un cambio di rotta che dia un nuovo slancio all’Unione.
Un esempio di ciò è il fatto che, in base al programma presentato, Varsavia è decisa a far sentire la sua voce anche sul tema della libera circolazione delle persone, pilastro fondante l’Unione Europea, messo recentemente in discussione dalla decisione della Danimarca di sospendere il Trattato di Schengen, ripristinando i controlli doganali ai confini. A testimonianza dell’impegno polacco in favore di una maggior coesione all’interno dell’Unione Europea, il premier Tusk, commentando la notizia, ha ribadito la determinazione della Polonia, in quanto Presidente di turno, a opporsi a iniziative che, come quella di Copenaghen, consistano di fatto in passi indietro per Bruxelles.
La sicurezza come priorità
Una simile visione si basa sulla convinzione che l’Unione Europea abbia bisogno, per non retrocedere sulla via dell’integrazione, di ampliare i suoi campi di competenza e, dunque, di rilanciare quelle politiche sulle quali manca un consenso unanime. In questo contesto, la sfida che la Polonia si appresta ad affrontare è connessa, in particolare, alla necessità, espressa dalla stessa Varsavia, di creare una convergenza negli ambiti della politica estera e della difesa, nei quali, in effetti, la varietà di posizioni a cui si è assistito in occasione dei recenti eventi in Nord Africa, dimostra come, nonostante le previsioni del Trattato di Lisbona, in questi campi gli Stati membri preferiscano ancora decidere autonomamente. La priorità assegnata a queste questioni si spiega ricordando la storia, la collocazione geografica e il valore geopolitico di questo Paese: situata tra la Germania e la Russia, la Polonia ha vissuto tre spartizioni, sottomessa per gran parte della sua storia alla dominazione straniera, costretta a seguire modelli culturali e di sviluppo imposti dall’esterno, per poi, infine, ricostituire l’agognata unità nazionale. I segni di questo passato sono indelebili: i timori mai sopiti della Polonia in merito a eventuali ingerenze da parte di Mosca, ad esempio, sono tuttora all’origine degli sforzi di Varsavia finalizzati alla fondazione di una politica di difesa europea, che rappresenterebbe per questo Paese la garanzia di una maggiore sicurezza. Del resto, che questo sia un argomento che sta a cuore alla Polonia, è confermato dal fatto che Varsavia si sta muovendo, al fine di assicurare la difesa del Paese, in più di una direzione, segnatamente verso gli Stati Uniti, e allo stesso tempo verso l’Europa. Risalgono a poche settimane fa, infatti, gli accordi sottoscritti con Washington, inerenti la presenza militare statunitense sul territorio polacco, a testimonianza di un avvicinamento tra i due Paesi, in funzione di un contenimento preventivo di Mosca e dunque del potenziamento dell’area che corrisponde al confine orientale della Polonia e della Nato. Varsavia punta, però, anche alla realizzazione di un comando tattico-militare con i Paesi del gruppo di Visegrad, l’alleanza tra Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e Ungheria, stipulata nel 1991 in vista di un’adesione congiunta di tali Paesi all’Unione Europea. I progetti che, come questo, promuovono una maggiore cooperazione tra gli Stati membri, sebbene geograficamente circoscritta, consistono in passi in direzione della fondazione di una sicurezza di stampo europeo, che Bruxelles potrebbe valorizzare, anche in considerazione dell’influenza che, per sua stessa natura, la Polonia potrebbe esercitare in questo ambito. Il sostegno a queste iniziative lascerebbe, inoltre, meno spazio ad accordi che coinvolgano Paesi extra-comunitari e che quindi capaci di deviare gli interessi degli Stati membri verso una dimensione della sicurezza che non sia quella europea.
Le preoccupazioni della Polonia attengono inoltre alla sicurezza energetica, legata anch’essa alla volontà di svincolarsi da Mosca e di rendere l’Unione Europea energeticamente indipendente dalla Russia, attraverso scelte comuni finalizzate a diversificare la provenienza degli approvvigionamenti e a garantirne l’affidabilità sui mercati internazionali. A questo proposito, vale solo la pena di accennare al progetto di sfruttamento del gas Shale, un tipo di gas naturale che per alcuni esperti costituisce la nuova frontiera nel campo dell’energia e che è presente in grande quantità sul territorio polacco. Se riuscirà a superare le resistenze delle correnti ambientaliste, allarmate per il rischio di inquinamento delle falde acquifere e dell’aria conseguenti alle operazioni di estrazione, la Polonia potrà davvero sperare in un’indipendenza energetica che avrà un significativo impatto sull’economia nazionale ed europea.
L’obiettivo di un’Europa solidale
La Presidenza polacca può apportare un significativo contributo in seno all’Unione Europea anche per quanto concerne la gestione delle difficoltà legate alla crisi economica. Non solo, infatti, può fungere da esempio per gli altri Paesi, in quanto le sue strutture economiche stanno affrontando la congiuntura negativa mondiale in maniera eccellente, ma soprattutto perché, anche in questo ambito, Varsavia sostiene la necessità di una maggiore coesione tra i vari partner. Infatti, di fronte alla riluttanza di chi si pronuncia in favore del ritorno alle economie nazionali, la Polonia difende la via di un sostegno congiunto agli Stati membri a rischio di bancarotta e si fa promotrice di un approccio improntato alla solidarietà. E del resto, non poteva essere altrimenti, dal momento che la parola “solidarietà” è legata a doppio filo a un Paese nel quale il sindacato “Solidarnosc” ha giocato un ruolo centrale nella rinascita dell’unità nazionale e nella storia dell’Europa. La Polonia sembra dunque dimostrare uno spiccato sentimento europeista, che non mette in discussione i vantaggi dell’integrazione economica e monetaria (di quest’ultima però Varsavia non fa ancora parte), come fanno invece coloro che vedono nell’abolizione dell’Euro la soluzione a tutti i problemi. Uno spirito solidale dunque, ma che certamente non è estraneo a valutazioni circa l’importanza che per il Paese rappresenta il mercato unico europeo e l’esigenza che il sistema economico dell’Unione Europea nel suo complesso non conosca recessioni. La Polonia è, infatti, uno Stato giovane in rapida crescita, potenzialmente influente sia in ragione della sua dimensione demografica, sia sul piano economico, e che, grazie all’integrazione con Bruxelles, ha potuto meglio valorizzare le proprie risorse, modernizzare il sistema e guadagnare in competitività. Ciò è evidente soprattutto all’interno del mondo agricolo, settore trainante in Polonia, dove i sussidi di Bruxelles e il mercato comunitario hanno consentito un rapido sviluppo. Se però, in ragione delle circostanze esposte, la Presidenza polacca può contribuire a consolidare il senso di appartenenza dei Paesi membri alla “famiglia” europea, testimoniando l’utilità dell’integrazione, è tuttavia altrettanto vero che su questi temi Varsavia non può ancora avere un peso determinante. È difficile, infatti, che uno Stato che rappresenta il 5% del PIL dell’Unione Europea e soprattutto che non fa parte della zona Euro, possa trattare le questioni economiche comunitarie alla pari con le nazioni più influenti.
Un esempio di stabilità
L’importanza che riveste la Polonia per l’Unione Europea è poi soprattutto quella di essere un ottimo esempio della buona riuscita dell’allargamento: un Paese nel quale, i vantaggi che l’adesione ha comportato hanno avuto l’effetto di smorzare l’euroscetticismo e portato stabilità sia sul piano economico sia su quello politico. Sotto questo primo punto di vista, la crescita dell’economia, stabile intorno al 4%, costituisce un dato significativo in tempo di crisi, che rende conto della solidità del sistema, in parte da ricondurre alle sempre più strette relazioni commerciali intrattenute con la Germania. Oltretutto, il boom degli ultimi anni ha aumentato nei polacchi la fiducia nelle loro stesse risorse, portandoli a superare quella sorta di complesso di inferiorità causato da una prolungata separazione interna e dall’Europa, di cui la Polonia si sente parte integrante. Permangono, tuttavia, alcuni problemi che impediscono uno sviluppo più rapido; tra questi, la struttura stessa del sistema, tecnologicamente poco avanzato e dominato da piccole imprese a conduzione familiare, che non riesce a garantire un’occupazione a un sempre maggior numero di giovani laureati, costretti così ad emigrare. Sul piano politico, il governo liberal-conservatore di Tusk, che guida il Paese dal 2007, e il Presidente della Repubblica Komorowski, eletto nel 2010, sono espressione della medesima forza politica, la Piattaforma Civica: una situazione che favorisce il dialogo inter-istituzionale, a tutto vantaggio della governabilità del Paese.
Verso Est
Dal punto di vista geopolitico, la Polonia è prima di tutto un Paese fortemente strategico, ed è sulla base di questa consapevolezza che il ruolo prevede di svolgere in questi sei mesi è anche quello di ponte tra l’ente che è chiamata a presiedere e i Paesi a Est dell’Unione Europea, in particolare gli Stati che sono associati a Bruxelles per mezzo dell’accordo di Partenariato Orientale, concordato a Praga nel maggio 2009. D’altra parte, proprio all’iniziativa polacca si dovette la sottoscrizione di tale accordo, che costituisce una diramazione della Politica Europea di Vicinato e coinvolge Paesi con i quali Varsavia condivide l’eredità del passato sovietico: Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldavia, Ucraina e Bielorussia. In questo suo compito la Polonia può essere particolarmente efficace, anche perché di quel mondo essa è ora come ora il miglior esempio di sviluppo realizzato. Il rilancio del Partenariato Orientale, la cui riuscita è però vincolata ad un imprescindibile aumento dei finanziamenti destinati a tale progetto, si compone, così come prospettato dalla Polonia, di alcune azioni essenziali: prime fra tutte, la previsione di agevolazioni nella concessione dei visti e la realizzazione di interventi di modernizzazione nei Paesi interessati, al fine di stimolare l’accettazione del modello europeo. Nel tempo limitato di un semestre, è realistico pensare che un passo avanti in questo senso potrà essere raggiunto con la conclusione di un accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e l’Ucraina, un primo segnale di avvicinamento che aprirebbe la strada a trattati simili con gli altri Paesi dell’area, in vista di una loro futura adesione, e al contempo un risultato di cui la Polonia potrebbe fregiarsi a livello internazionale.
Ostacoli e aspirazioni
La Polonia dà avvio a un nuovo ciclo di Presidenze, che proseguirà poi con la Danimarca e con Cipro, Paesi con i quali Varsavia ha concordato già da tempo le linee fondamentali per condurre l’Unione Europea nei prossimi 18 mesi. La cosiddetta Presidenza a trio, introdotta con il Trattato di Lisbona, concilia, infatti, il principio della rotazione paritaria con l’esigenza di una maggiore continuità delle strategie e, in effetti, la limitatezza del tempo a disposizione della Polonia è compensata proprio dal fatto che i passi che verranno intrapresi in questo semestre, costituiranno solo l’inizio di un processo che poi la Presidenza danese e cipriota porteranno a compimento. Sulle spalle della Polonia grava, dunque, il peso di una grande responsabilità, non solo perché è chiamata a gestire emergenze di ampia portata, ma anche perché con la sua capacità di impostare il programma in maniera incisiva, influirà anche sull’operato delle Presidenza a venire.
La posizione di Presidente del Consiglio dell’Unione, che pone la Polonia al centro della scena europea per i prossimi sei mesi, costituisce però allo stesso tempo una possibilità dal valore inestimabile, soprattutto per quanto riguarda ciò a cui probabilmente Varsavia aspira di più: un ruolo attivo e di rilievo sulla scena internazionale. Una simile posizione, infatti, non solo consente a Varsavia di avere i mezzi per portare alla ribalta e per far valere le proprie istanze, ma le conferisce anche la visibilità di cui ha bisogno per dare prova di credibilità e per farsi conoscere, per mostrare al mondo i progressi compiuti a soli vent’anni dall’indipendenza: la democrazia compiuta e la stabilità politica ed economica. L’impatto che potrà avere un Paese in crescita come la Polonia sul modus operandi dell’Unione Europea e sulle sue priorità, è certamente limitato dal fatto che l’“ente” in questione sembra ancora essere diviso tra una stretta cerchia di Stati che influenzano le politiche comunitarie e Stati, di fatto, periferici rispetto alle decisioni prese a Bruxelles. Varsavia rientra ancora nelle fila di questi ultimi, ma ha le potenzialità non tanto per entrare a far parte del gruppo dei primi, quanto piuttosto, e ciò è un aspetto fondamentale per il futuro dell’Unione Europea, per aprire la strada ad una distribuzione più equa del potere, ad una maggiore unitarietà e ad un’integrazione europea di più ampio respiro.
* Martina Franco è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Trieste)